lunedì 7 settembre 2009

Chi ha paura del dialetto cattivo?

Il rispetto formale nei confronti dei “dialetti” che, per un paio di decenni, ha circolato nel ventre molle dello sciovinismo italiano si sta mostrando per quel che era: un onore delle armi a un nemico ormai “spazzato via dalla storia”, come aveva pronosticato Engels. Se un merito ha la Lega Nord, altri non me ne vengono in mente, è quello di aver toccato i nervi scoperti del nazionalismo granditaliano che, per sua definizione non è né di sinistra né di destra. Basta leggere le reazioni alla proposta di produrre “fictions dialettali”.
Da chi normalmente si guarda in cagnesco, una voce sola: “Un’autentica fesseria” (Italo Bocchino, vice presidente dei deputati del Pdl), si “confonde ferragosto con carnevale” (Giorgio Merlo (Pd), vice presidente della commissione Vigilanza Rai), “Le fiction in dialetto sono una buffonata propagandistica” (Marco Rizzo, dei comunisti sinistra popolare), “Sono sciocchezze inutili” (Lando Buzzanca, attore di centro destra). Se non ci fosse dietro lo sciovinismo di cui prima, sarebbe bastato dire: “Vediamo se il mercato le accetta”. E invece c'è.
Alcuni giornali italiani si sono messi alla testa del movimento “antidialettale”, con un salto di qualità. Nel mirino non ci sono più solo i “dialetti” ma anche le lingue delle minoranze storiche che sempre lingue sono state nella coscienza dei loro parlanti e che, in più, tali sono state riconosciute dalla Repubblica. Da quella stessa, nel nome della cui unità tanto sbraitano i giornali di sinistra (L'Espresso e L'Unità) e “indipendenti” - ma ostili al centrodestra - come Il Corriere della Sera, per non parlare dei quotidiani nordici del gruppo La Repubblica-L'Espresso.
Nel mio sito, chi vuole, troverà l'articolo dell'Espresso che ha aperto le ostilità, quello del settimanale del Corriere “Io donna”, quello dell'Unità. (Ma si troverà anche un pregevole articolo di Tullio De Mauro sull'Unità a difesa delle lingue di minoranza e una bella risposta del friulano Luca Campanotto all'attacco del Corriere alla sua lingua). Perché queste bordate che, per ora, colpiscono i “dialetti” e la lingua friulana? E per quale ragione i giornali declassano a “dialetto” una lingua riconosciuta come tale dal Parlamento italiano durante un governo di sinistra? E, ancora, perché proprio dalla sinistra arrivano le reazioni più velenose? Che mi consti, se non l'unica una delle poche voci fuori dal coro è quella di Piero Fassino, il quale pur dicendosi “contrario a sottoporre tutti gli insegnanti all'esame di dialetto” premette: “Sono favorevole ai dialetti e al loro insegnamento a scuola”.
Una risposta a quest'ultima domanda potrebbe trovarsi nella legittima opposizione della sinistra e dei suoi giornali al governo Berlusconi e, soprattutto, alla Lega che ne fa parte. Forse c'è anche questo, anche se, in realtà, nella foga non si preoccupano di travolgere l'ex presidente di centrosinistra del Friuli, Riccardo Illy. Ma non credo che sia solo questa la ragione. Aleggia sempre, o quasi sempre, una preocupazione sciovinista: quella che l'uso non folcloristico delle lingue regionali (i “dialetti”) e quelle delle nazionalità storiche porti allo sfascio di quel sentimento nazionale che, in verità, tanto nazionale – nel senso di statale – non è, come dimostrano i lamenti delle vestali della cosiddetta “Unità d'Italia” di cui, temono, ci si ricordi troppo poco.
Di qui, una tolleranza nei confronti dei “dialetti” e delle lingue dialettizzate per convenienza di ragionamento che si manifesta fino al momento in cui queste lingue non utilizzano leggi, mezzi finanziari, tecnologie moderne e propaganda interna per due scopi: sottrarle al destino assegnato loro dal “tanto sono destinate a morire” e patrocinarne l'uso pubblico e ufficiale in tutti i settori della società. Gli sciovinisti erano disposti ad accompagnarle alla buon morte per consunzione ma non tollerano che si spendano denari (poco importa se privati o pubblici – si legga l'articolo di Campanotto) per sottrarle alla morte.
La verità – la mia, almeno – è che c'è una diffusa sensazione, in mezzo agli scioviniti che il cosiddetto “sentimento nazionale” non funziona più come pensavano e che, questo sì, ha bisogno di importanti iniezioni di denaro, secondo alcuni persino di pregoni e di obblighi, per essere rivitalizzato. Detto fra noi, chi sa se l'esasperato nazionalismo di Ciampi, filo conduttore del suo settennato come capo dello Stato, non si stia trasformando in un bumerang?

PS - Noi sardi siamo ben più fortunati dei friulani. La lingua friulana è bersaglio di un fuoco nemico esterno, grazie a Cristina Lavinio (vedi la coda della sua ira funesta) noi abbiamo il nostro bel fuoco amico. Contro il friulano sparano a balla incatenata, la nostra a balla sola. Perché non trova compagnia.

1 commento:

Scovacis ha detto...

Mandi Zuannefrantziscu,
una piccola precisazione a proposito della tua chiosa finale. Non siete «più fortunati dei friulani». L'articolo dell'Espresso è a firma del friulano Tommaso Cerno, quello di Io Donna della friulana Giulia Calligaro, con un box a corredo (forse ancora peggiore, se non lo hai Christian te lo può mandare) a firma del vicedirettore friulano Marzio Mian.
A si biri.

Dree