sabato 2 maggio 2009

Il rifiuto del sardo nasconde spesso la non conoscenza

di Andrea Crisponi

Tutto questo dibattito, non necessariamente quello relativo al Magnifico Ainis, mi ricorda - metaforicamente parlando - lo stato d'animo provato durante la lettura a perdi fiato delle gesta semiotiche di Guglielmo da Baskerville ed Adso da Melk, in Il Nome della Rosa. Tanti segreti e misteri avvolgevano quella misteriosa biblioteca del monastero il cui accesso era osteggiato dai frati e al cui interno si consumavano sinistri riti ed omicidi/suicidi. Questo per dire che, l'atteggiamento di alcuni nei confronti della cultura ("cultura", Cultura) ricalca lo stesso dei frati del monastero, quello del romanzo, che attraverso l'ostracismo, l'ostruzionismo, cercavano di impedire che due estranei avessero libero accesso negli ambienti della cultura non convenzionale, quella dei libri apocrifi, delle interpretazioni della Bibbia non impregnate di retorica.
Ecco, questo è il mio modestissimo atteggiamento innanzi alla cultura sarda che, perché no?, trova manifestazione nelle pagine dei testi scritti interamente in sardo (Gianfranco ha parlato di oltre 200 opere ormai pubblicate), da un lato avventuriero e curioso, dall'altro guardingo ed apocalittico. Il che, secondo me, dipende da un atteggiamento fortemente contrapposto tra chi, come il gestore di questo blog, ha a cuore le sorti e la diffusione del sapere e soprattutto del conoscere la nostra cultura in tutte le sue forme, e chi semina paletti delimitanti con in cima un segnale di stop. Il problema è che a differenza del romanzo di cui scrivevo sopra non capisco quale sia il mistero che avvolge il sardo, la sua cultura, la sua gente, la sua storia, le sue tradizioni come una cappa di nubi gonfie di pioggia. Certo è che parte di quelle nubi si annodano attraverso traversie politiche, scelte demagogiche che danno del sardo-lingua come del sardo-cultura una immagine, a mio avviso, folkloristica e non rispecchiante le peculiarietà identitarie. Vi è anche chi le rifiuta, ma in realtà non le conosce. Poi vi è chi le rifiuta perché non le condivide, e ne ha tutte le facoltà. Purché non si tratti di ideologia o di luogocomunismo.
Quanto al Signor Ainis ed alle sue prese di posizione, nonché a proposito della sua verve da professore intransigente e severo, propongo qui una frase che un caro amico prete mi disse qualche tempo fa: "E' facile essere frosci col culo degli altri" aveva detto, in un periodo di strascichi polemici riguardanti la manifestazione del gay pride a Roma. E la stessa massima la propongo a chi, una volta abbandonata la Sardegna, pensa di proporsi quale Deus ex Machina e di poter dettar le regole del saper vivere crogiolati altrove. Ebbene, io credo che se qualcosa deve cambiare deve prendere forma e sostanza nell'Isola anche se i contributi di tutti saranno di sicuro rilevanti e bene accetti. Ma per cambiare bisogna essere radicati nel territorio, capire personalmente il livello di incidenza delle varietà linguistiche come delle feste paesane e dare a ciascuna il proprio spazio, non facendo il modo che "solo" il ballo sardo sia un tratto identitario, ma anche un canto in rima, o ancora meglio un romanzo, che finalmente possa essere trattato alla stregua di qualsiasi altro testo letterario e non quale un capriccio intellettuale di chi si prende la briga di scrivere in sardo per diletto.
Ne approfitto per complimentarmi per il post appena pubblicato.

7 commenti:

Gabriele Ainis ha detto...

Caro Crisponi,
troppa erudizione per un problemino semplice semplice, alla portata di noi sconosciute nullità. Non stia ad accusarmi di voler usare il suo sedere, si chieda piuttosto se non ci siano altri che lo fanno, e a lei non paia dispiacere troppo. Non se l'è domandato quando il suo amico prete l’ha illuminata con la geniale battuta sui froci? O devo ricordarle quanti milioni di dollari ha dovuto spendere la chiesa cattolica americana per riparare ai danni anali provocati dai propri ministri di culto? I preti fanno in fretta a parlare dei deretani altrui... e ad usarli.
Ho già avuto modo di affermare che la cultura sarda (che sia cultura) interessa me quanto lei e parecchi altri, il che non implica che si debba accettare la cialtroneria di chi sfrutta l’altrui amore per la Sardegna per lucrare due lenticchie, vendere una copia di un libretto, scroccare una cena in un agriturismo. Se poi si vuole accettare il principio, come sembra, che ‘sardo è bello comunque’, si accomodi pure, potrebbe essere un buon argomento di riflessione sulle difficoltà in cui versa la nostra isola.
Sul ‘crogiolato’ (e il resto), non le rispondo, sarebbe troppe semplice e io non amo particolarmente il ridicolo. La invito invece a rileggere con attenzione il suo scritto e a chiedersi se davvero lei abbia individuato con esattezza il suo bersaglio.
Cordialmente,
Gabriele Ainis

Anonimo ha detto...

Caro Ainis,
come le ho visto fare di recente su questo blog, anche questa volta solleva un polverone di polemiche che non hanno ragion d'essere.
Sorvolo sulle illazioni a commento della frase che invece a mio avviso le si addice, oltre a rispecchiare il suo modus operandi (fuor di metafora, for God's sake!)per ciò che mi è stato possibile vedere nei suoi interventi precedenti. La sua attitudine trasforma il discorso in gazzarra per cui sorvoliamo.
Il suo precedente commento si conclude con un invito "La invito invece a rileggere con attenzione il suo scritto e a chiedersi se davvero lei abbia individuato con esattezza il suo bersaglio".
Non ho bisogno di rileggerlo, ovviamente, ma in tutti i casi credo che lei sia stato abbagliato dalla parola cultura, "cultura", Cultura, [C]ultura; forse è quella stessa parola che la manda nel pallone, forse per la difficoltà di definirla (da parte di tutti, intendo), o per via di una immagine distorta che ognuno se ne fa.
Condivido in pieno quando afferma che è fermamente contrario alla "cialtroneria di chi sfrutta l’altrui amore per la Sardegna per lucrare due lenticchie, vendere una copia di un libretto, scroccare una cena in un agriturismo", ebbene, questo è pienamente condivisibile.
Credo e ribadisco che affinché un processo di consapevolezza identitaria si sviluppi in maniera sostanziale, il punto di partenza debba essere la Sardegna ed i suoi abitanti in loco che in questioni quali lingua, letteratura, folklore, hanno più che una voce in capitolo vivendo ogni giorno a contatto con essi. Il che non escluderebbe pareri e commenti provenienti da ogni dove. Del resto la Sardegna è ancora abitata da sardi residenti, o sbaglio?
Andrea Crisponi

Gabriele Ainis ha detto...

Caro Crisponi,
illazioni anali a parte, sollevate e ribadite da lei, dunque ne goda pure in solitudine, prendo nota della concordanza di opinioni sulla cialtroneria dei soliti (ig)noti.
E allora quale sarebbe la materia del contendere, forse la definizione di cosa sia cultura? Le ribadisco che lei si rivolge a un bersaglio sbagliato e in ogni caso mi pare materia che esula dalle considerazioni veloci alla portata del lessico di un blog.
Riguardo il mio tono, a suo dire foriero di gazzarra, la invito – ancora una volta, posto che la cosa non sia di troppo tedio – a riguardarsi ciò che ho scritto. Troverà un tono conforme a quello generale di un blog nel quale si discute con forza: né più ne meno. Se invece vuole trovare maleducazione, urla, protervia, offese, ne troverà a iosa nel partito di quelli che a quanto pare - e non mi sorprende - non piacciono a lei come risultano intollerabili a me. Si tratta di tecniche che tornano utili quando, avendo nulla da dire, lo si urla a squarciagola.
Infine lei mi sollecita a risponderle su un tema delicato, e le faccio una premessa: ma lei che ne sa di me, di quanto tempo spenda nel torinese, quanto in Sardegna, quanto negli Stati Uniti o a Timbuktù? Che fa, rivendica un’autorevolezza intrinseca perché lei sta sull’isola e io no? E se non fosse così, avrei maggior titolo e le mie idee sarebbero maggiormente condivisibili? Cioè lei può parlare di Sardegna ed io no perché lei presume che io non ci abiti? Ma le pare una cosa seria di cui disquisire? Se le sue parole volessero sottintendere una mia presunta ignoranza per lontananza geografica, si rassicuri, non è così, ma non è importante.
Trovo deprimente il fatto che lei ne abbia fatto cenno, ed è un vezzo tutto nostro quello di pensare che i ‘continentali’ non capiscano un acca di ciò che capita da noi perché vivendo in un lontano e generico altrove siano incapaci di comprendere, o in alternativa siano tutti tesi a impadronirsi delle nostre ricchezze e a trattarci da colonia. Di certo, se così fosse, avrebbero un valido aiuto da quanti la pensano in questo modo, esattamente come quelli che, paladini del sardismo, hanno avvallato l’affidare il governo regionale ad un partito che regge l’Italia con il tallone della Lega sul collo. Le fa piacere sapere che Bossi decide ciò che dobbiamo fare? Lo ha mai sentito parlare del sud (isole comprese, si diceva un tempo) in uno dei raduni che si tengono su per le valli del varesotto, del bresciano, del bergamasco? Quelle affermazioni lapidarie che alla televisione non passano? No? Già, dimenticavo, lei è occupato a passare il 100% del suo tempo nell’Isola per poterne parlare a ragione...
E non riprenda, la prego, la solita manfrina dei poveri isolani cui viene tappata la bocca dai protervi continentali: le pare che io (che continentale non sono) le stia dicendo di tacere? Non le pare invece che più d’uno, per le quattro banalità che ho scritto nel blog, abbia più volte ventilato la necessità di togliermi la parola?
Ma santo cielo, perché rimettere sul tavolo della discussione i nuraghi e il ballo tondo? Ne sono innamorato anch’io, come tutti, e dunque? Io mi chiedo se sia corretto confondere folklore e cultura, ed esaurire questa in quello, come pare stia accadendo. Lei no? Non se lo chiede? É soddisfatto di vedere i nostri ragazzi del centro Sardegna che sbarcano il lunario tra una festa estiva per turisti e due lire da muratore in concorrenza con gli sfigatissimi immigrati? Magari con un diploma magistrale in tasca, o uno da geometra? Ma s’immagina quanto saranno contenti, tra su passu torrau e un colpo di cazzuola?
Ce ne fosse stato uno, nel blog, che avesse raccolto la mia osservazione sullo stato miserando delle scuole superiori, sull’inconsistenza generale degli atenei universitari sardi (salvo le eccezioni che confermano la norma), sulla dipendenza totale del fragile apparato produttivo sardo dalle concessioni tecnologiche esterne. E invece no, trattasi di sciocchezze, l’importante è parlare di shardana, far crocchiare la carta da musica tra i denti e stordirsi nel ballo tondo, il resto non conta.
Ma mi dica, caro Crisponi, lei dove vive?
Cordialmente,
G.Ainis

Anonimo ha detto...

Caro Ainis,
debbo ammettere che lei mi sottovaluta molto, ma daltronde non fa che assentire alle mie disquisizioni circa le isue idee riguardanti l'isola, i suoi abitanti, la sua cultura e tradizione, la lingua (cui Lei non fa neppure cenno). Ebbene da qui, dall'Inghilterra nella quale mi trovo per ragioni accademiche lei mi fa sorridere e riflettere insieme. E' vero, condividiamo sostanzialmente lo sdegno verso chi - attraverso strumenti di diffusione più o meno subdoli - trasmette un'immagine di cultura e folklore sinonimica. Intendo prendere le distanze e condannare tutto questo.
Veniamo a lei, ed a quanto sostiene nel precedente commento. Nessuno ha mai sostenuto ci si debba astenere dalle critiche o dalle proposte solo perchè non è residente in Sardegna, nè io sono tra quelli. Dico solo che una priorità va assegnata a chi vive quotidianamente disagi, gioie, dolori nell'Isola e per l'Isola, con i suoi abitanti, i suoi pomeriggi "noiosi" davanti ad un bicchiere di vino, o a raccontare storie, insomma, insieme a quegli atteggiamenti "provinciali" tipici della nostra terra, ai quali non si fa riferimento se la si considera colonia estiva. Lei parla, parla anche bene, o meglio scrive, ma non mi convince per via di una litotica saccenza che afferma negando, contradicendosi.
E lo fa in particolare quando prega di non cadere nell'errore di considerare i "continentali" quali fautori della nostra condizione di colonizzati, salvo poi affermare, o meglio, interrogarsi chiedendomi se fossi "soddisfatto di vedere i nostri ragazzi del centro Sardegna che sbarcano il lunario tra una festa estiva per turisti e due lire da muratore in concorrenza con gli sfigatissimi immigrati?": Quale immagine stereotipa, quale conoscenza del territorio c'è dietro queste affermazioni? Quale pretesa di "conoscere"? E rincara la dose quando poi si rivolge in particolare a me dicendo "lei è occupato a passare il 100% del suo tempo nell’Isola". Mi viene da sorridere ma ancora da riflettere. Da qui, dal campus della quinta Università più prestigiosa del Regno Unito le scrivo che i tempi son cambiati, che siamo in migliaia fuori. Proprio noi, gli stereotipati ragazzi del centro Sardegna, all'estero per specializzarci, conoscere le lingue, la finanza, la storia, e soprattutto la nostra Storia che va conosciuta e non negata, impedita.
Dove vivo? Venga a trovarmi nella West Midlands, le insegnerò a pensare che senza il "continente" è possibile immaginare una vita in Sardegna. E ritornare arrichiti di nuovi valori e nuove conoscenze non può che essere uno stimolo per esportare un pò di ciò di cui si fa esperienza nella propria terra, divulgarlo, metterlo a servizio di tutti.
Un saluto,
Andrea Crisponi

Gabriele Ainis ha detto...

Caro Crisponi,
bravo! Mi congratulo con lei e la ringrazio. Pochi altri sarebbero riusciti a confermare le cose che vado dicendo con la medesima efficacia.
Mi stupiva infatti che parlasse di cultura sarda in quel modo conoscendo la realtà isolana: vede che la mia domanda aveva senso? Lei la ignora.
Vuole sapere quale conoscenza c’è del territorio nelle mie parole? Tanta quanta lei non immagina, dal profondo della provincia inglese, dove le scuole funzionano e lo stato pure, la legalità è rispettata, gli uffici pubblici sono al servizio del cittadino e non viceversa.
Preso il suo Master, passi qualche tempo nella provincia sarda, potremmo trovarci a scambiare qualche idea a Ottana, Bolotana, Dualchi, Bono, Lodine, Illorai... dove tutti i ragazzi naturalmente (lei è testimone) hanno in mente un Master ad Harvard, non pensano ad altro e discutono tra di loro se sia meglio un Ph. D. in Economia Politica o Scienza dei Gelati, utilissimi entrambi in quelle plaghe. Le offrirò un sorso di Nepente e potrò apprezzare il suo accento britannico (anche se quello della West Midlands non è il massimo, da quello che ricordo).
No, non le chiedo più dove vive, evidentemente a cavallo tra un isola che non c’è ed un’altra dove spero possa apprendere qualcosa di interessante. Glielo auguro di tutto cuore.
Per accidente, potrebbero anche insegnarle a guardarsi attorno ed interpretare la realtà con occhi più maturi: fa parte del piano di studi? Noto infatti che continua a parlare un linguaggio ‘alto’ che non prevede discussioni su sciocchezze come le superiori che non funzionano, l’università che annaspa e la tecnologia inesistente. Sulle quali non si pronuncia. Peanuts, my friend, c’è altro in pentola! Siamo occupati ad insegnare la cultura sarda agli inglesi, altro che storie, i britannici, si sa, non aspettano altro!
Avanti, adesso mi dica che lei è nato a Bono, e che tutti i suoi amici d’infanzia sono là, con lei, per un Master. Avrò un’occasione per dirle che ha impiegato male il suo tempo nel Regno Unito, e per preoccuparmi per lei: gli allucinogeni nuocciono grevemente alla salute, non ne abusi.
Con i migliori auguri per i suoi studi,
G. Ainis.

Anonimo ha detto...

Caro Sig. Ainis,
credo che siamo rimasti io e lei a mandare avanti questo discorso cue da questa prospettiva, non sembra fare proseliti. Grazie per i complimenti e per gli auguri (voglio pensare che fossero sinceri).
Non posso che prendere atto della sua profonda conoscenza del territorio, non la metto in dubbio, ma la prego di fare altrettanto con me. Nessun Master, solo un exchange del quale sembra quasi volermi fare una colpa quasi fosse un funzionario medievale piu' incline a far valere la legge dell'ingnoranza che quella della libera informazione. Credo che, se e' vero che le ho dato del materiale utile a provare le sue tesi (alle quali accenno per dovere di cronaca), e' altrettanto vero che questa sua visione stereotipa della Sardegna e' fortemente limitativa e riduttiva nel contempo. Limitativa perche' non prende in considerazione migliaia di giovani sardi che negli ultimi anni hanno avuto accesso alla istruzione, soprattutto negli atenei sardi. L'Universita', nel bene e nel male, e' diventata un prosieguo della scuola dell'obbligo, di questo c'e' da prendere atto. La suddetta visione stereotipa e' poi riduttiva, nel momento in cui considera i socialmente utili ed accettabili solo i discorsi tra "titolati" o intellettuali (della cui categoria non faccio parte per evidenti limiti oggettivi)mentre sarebbero da stigmatizzare o non considerare altrettato validi i iscorsi dei classici ragazzi del centro "dove tutti i ragazzi naturalmente (lei è testimone) hanno in mente un Master ad Harvard, non pensano ad altro e discutono tra di loro se sia meglio un Ph. D. in Economia Politica o Scienza dei Gelati, utilissimi entrambi in quelle plaghe". Come on, suvvia, rispondo a queste affermazioni sperando che si tratti di mera provocazione finalizzata ad un dibattito piu' profondo ed intenso.
Venendo da Nuoro (non Harvard men che meno Oxford), in parte Baroniese, in parte Mamojadinu (le offrierei di buon grado alcuni dei vini che produciamo da una parte e dall'altra dell'Isola, che preferisco al Nepente)sono cosapevole dei limiti e delle potenzialita' del territorio. Non ho mai capito, infatti, come mai Nuoro non ospiti una cattedra di Linguistica sarda nonostante la fama ed i trascorsi dei numerosi artisti cittadini, di ieri (da Satta alla Deledda) e di oggi (da Niffoi a Fois).
Un giorno di qualche anno fa chiesi al mio professore di Linguistica Generale cosa mancasse al sardo per affermarsi ed essere riconosciuto come lingua e, di conseguenza, alla cultura sarda: mi rispose, umilmente come nelle sue corse, dicendo: "e' una questione di volonta'". Se questa componente fondamentale viene a mancare specie nella stanza dei bottoni, non c'e' possibilita' di elevarla da quel contesto rurale (che pure ha giocato un ruolo importante per la diffusione)che oggi non esiste piu'.
Non ho mai abbandonato l'idea di poter mettere a disposizione il mio "sapere" in Sardegna, in qualsiasi ambito gnoseologico. Ma non sono l'unico: tanti sono gli amici che hanno intenzione di tornare a casa e portare ciascuno un pezzo della propria esperienza per metterla a servizio degli altri.
Forse bisognerebbe smettere di educare i ragazzi a ridurre la loro conoscenza al "produrre": sarebbe inutile un modo di tecnologia senza qualcuno che ne possa descrivere i tratti su un pezzo di carta volante.
Concludo dicendo che i miei amici di infanzia sono tutti iscritti all'Universita' nella quale frequentano con profitto. Uno in particolare e' assistente di un prof. della Facolta' di Economia di Cagliari. Tutti siamo li', nessuno escluso. E scherziamo come facevamo un tempo, con la consapevolezza di poter aiutare in qualche modo la nostra Isola ad uscire dallo spettro degli stereotipi che ormai ci hanno fatto credere d'essere lo specchio d'acqua che riflette le nostre membra.
E' vero, l'accento delle Midlands non e' tra i migliori. Ma anche qui vi sono eccellenti native speakers che gravitano attorno all'Universita'. Ma questo, son sicuro, gia' lo sa.
A menzus biere,
Andrea Crisponi

Gabriele Ainis ha detto...

Caro Crisponi,
mi pareva fosse di quelle parti, non a caso ho menzionato Ottana e gli altri piccoli centri di quel territorio. La stupisce che l’abbia indovinato?
Le sue parole non mi sorprendono, da Deletta a Satta, fino all’enormità sulla ‘conoscenza al produrre’, su cui avrei parecchio da dire se non avessi timore di offenderla, cosa che lei non merita. Immagino che i ragazzi che io ho menzionato (e che lei non conosce perché, beato lei, vive in un’isola che non c’è) facciano parte del ‘contesto rurale che oggi non esiste più’. Mi verrebbe da domandarle ancora dove viva, ed invece colgo l’occasione per ribadire quanto la cultura sarda (se esiste) versi in pessime condizioni anche (e temo soprattutto) per atteggiamenti come i suoi. Cosa vuole, evidentemente le persone con le quali vengo in contatto io, quelli che sperano in un posticino nella Guardia Forestale o vanno a farsi ammazzare nelle missioni militari demenziali all’estero, coloro che mendicano un posto per potersi sposare, che l’hanno appena perso, che passano le giornate a ingozzarsi di birra al bar quando proprio c’è poco da fare, li ho sognati tutti, eppure, stranamente, li ho conosciuti uno per uno con tanto di nome, cognome, età, e speranze. Prossimamente, quando ne incontrerò altri, dirò loro che non si preoccupino, perché la situazione in cui versano è ‘un contesto rurale che oggi non esiste più’, dunque si mettano il cuore in pace e vadano a guadagnarsi un master a New York, razza di fannulloni!
Gli auguri per la sua carriera sono sinceri, soprattutto le auguro di potersi permettere di vivere nel mondo beato di coloro che pensano ai contesti rurali scomparsi. Come le dicevo ne ho incontrati parecchi, sempre indaffarati, poverini, tra un congresso, una tavola rotonda, un articolo, una pubblicazione...
Se invece decidesse di maturare, cosa che non le raccomando perchè a farlo c’è da vedere la situazione reale, e non è propriamente piacevole, potrebbe decidere di parlare anche con la gente comune, non solo con i suoi amici che si sono laureati tutti e i professori che le dicono come la lingua sia solo una questione di volontà (errore talmente marchiano che non sto a discuterne).
O in alternativa potrebbe lasciare l’isola che non c’è: Wendy, a suo tempo, decise di farlo, ed a ragione.
Mi spiace che le mie preferenze in fatto di vino non la soddisfino ma, come potrà notare, temo di non essere all’altezza: mancanza di raffinatezza, me ne scuso. Le va bene un Barbaresco Gaja del ’97? (Mi scusi, sa, ma la mia frequentazione piemontese mi ha inesorabilmente corrotto.) Oppure preferisce un’annata meno banale, ad esempio il 2001, di cui dicono un gran bene? Sono bottiglie che dovrebbero soddisfarla, costano ciascuna quanto lo stipendio di uno dei muratori di cui le parlavo, quelli che non esistono e, visto che lei ama il surreale, dovrebbero incontrare il suo gradimento.
Cordialmente,
G. Ainis