martedì 1 luglio 2008

Ugas: forse Atlandide era "anche" Sardegna

Nella prima parte della sua intervista, il professor Giovanni Ugas, ricercatore di Preistoria e Protostoria nell'Università di Cagliari, ha spiegato come gli shardana fossero i sardi dell'era nuragica. Erano dei grandi navigatori, oltre che guerrieri. Qui di seguito, la seconda parte dell'intervista.

D. In tutti questi viaggi, pur non essendo gite culturali, gli shardana avranno conosciuto popoli che usavano la scrittura. Possibile che non si siano incuriositi nel "nuovo" mezzo e non lo abbiano introdotto nella loro società?

L’uso della scrittura nell’antichità è funzionale al modello politico. Non tutti scrivevano e non tutti potevano usare la scrittura. La scrittura nell’età del Bronzo è limitata alle regioni dei grandi imperi e dei grandi regni, comprese tra la Mesopotamia, il Medio Oriente, l’Egitto, l’Anatolia e l’Egeo, cioè alle regioni governate da re che avevano un ampio territorio alle loro dipendenze. Solo i potenti della terra potevano farne uso per ragioni di prestigio, cioè per far conoscere le loro gesta e per invocare gli Dei, ma soprattutto per registrare i loro beni negli archivi, per finalità commerciali e per esigenze epistolari tra gli stessi re, principi e generali.
I popoli dell’occidente Mediterraneo cominciano a impiegare la scrittura solo agli inizi del I ferro cioè nel IX-VIII secolo. La cognizione dei segni di scrittura vi giunse però almeno sin dalla prima metà del XX secolo (bronzo antico), come evidenziano i segni sulle ceramiche eoliane studiate dal Bernabò Brea, mentre in Sardegna è documentata almeno a partire dal Tardo bronzo con i segni sui lingotti di rame di matrice egea. Per l’uso della scrittura però non basta la conoscenza, occorre la convenienza e la necessità.
È istruttivo, al riguardo, ciò che avvenne per i Cartaginesi con le emissioni monetarie. Nel V secolo, essi continuavano a usare pesi di rame e argento per pagare i soldati, mentre la gran parte delle città greche ricorrevano alle più agili ma anche più leggere (dunque sostanzialmente meno apprezzate) monete in argento e bronzo Come mai? Perché essi controllavano il mercato del rame e dell’argento e potevano agevolmente avere il sostegno dei soldati mercenari offrendo ad essi un valore effettivo in metallo superiore a quello delle monete. Quando nel IV secolo anche per Cartagine giunsero i momenti della crisi economica, allora la città africana fu obbligata anch’essa a ricorrere alla monetazione.
È verosimile, dunque, che durante l’età del Bronzo i Sardi, esattamente come gli Shardana, non impiegassero la scrittura. Infatti, non sono giunti a noi documenti epistolari degli Shardana né con l’Egitto, né con altri popoli. Ciò non esclude, peraltro che i Sardi possano aver utilizzato singoli segni di scrittura (acquisiti presso i popoli con i quali ebbero i più stretti contatti) per siglare i loro lingotti metallici, in rame e piombo. Questi segni hanno un valore ponderale o di contrassegno del produttore o del committente di tali manufatti.

D. Lei sa che, soprattutto in questi ultimi periodi, qua e là per la Sardegna si sono trovate tracce consistenti di scrittura. Che idea se ne è fatta?

I lingotti in rame che circolano in Sardegna mostrano segni attestati nei sistemi di scrittura minoica, micenea e cipro-minoica. Dunque, per l’ipotetica introduzione della scrittura nella nostra isola nell’età del Bronzo bisognerebbe guardare innanzitutto all’orizzonte geografico e culturale egeo. Al momento non esistono documenti archeologici che dimostrino chiaramente, per l’età del Bronzo, l’impiego nell’isola di un qualsiasi sistema di scrittura, neppure di matrice egea.
Diversamente è anomalo il fatto che intono al VI secolo la Sardegna risulti una delle pochissime regioni dell’Occidente che non usa un qualsiasi sistema di scrittura. Invero, nel primo Ferro in Sardegna è documentata la presenza di marchi di origine alfabetica non solo nei lingotti di piombo ma anche nei recipienti in ceramica (es. a Monte Olladiri di Monastir) e ciò induce a essere ottimisti circa l’introduzione di un sistema di scrittura nell’isola tra il IX e il secolo VIII, dopo l’avvento dei Fenici sulle coste, i movimenti coloniali greci nel Tirreno e, soprattutto, l’avvio delle aristocrazie isolane che presuppongono l’ampliamento dell’utenza commerciale e l’insorgenza di nuove leadership, per le quali la scrittura poteva essere non solo uno status symbol, ma anche un’esigenza di natura economica.
È implicito, per concludere, che le recenti segnalazioni di iscrizioni considerate nuragiche, peraltro documentate fuori contesto e di dubbia pertinenza cronologica, come quelle dell’Oristanese, non possono che lasciare forti dubbi principalmente perché risulterebbero appartenenti a modelli culturali estranei alle esperienze nuragiche sia dell’Età del Bronzo che del I Ferro.

D. La Sardegna dell'epoca, l'epoca degli Shardana, non potrebbe essere quell'isola che Platone chiamò Atlantide? Il filosofo greco avrà avuto pur in testa un luogo fisico e non soltanto un luogo mitico.

In un paragrafo del mio contributo per gli atti del II Convegno di Micenologia (1991), dedicato al mito di Atlantide raccontato nel Crizia e nel Timeo di Platone, nel 1996 scrivevo -e qualcuno avrebbe dovuto registrarlo- che: “un attacco contro l’Egitto da parte di una popolazione occidentale che possiede i metalli e una flotta potente può essere pensabile su un piano storico solo quando la terra dei faraoni, tra il XIV e il XII secolo dovette subire gli attacchi dei Libi, degli Sherden e degli altri popoli del grande Verde”.
Scrivevo anche: “La mitica Atlantide può ben essere identificata nelle varie coalizioni di popoli, comprendenti genti occidentali, come i nord-africani Libu e Mashuesh, e gli abitanti delle “isole che stanno al centro del Verde Grande”, cioè Sherden (Sardi), Tursha (Tyrreni), Liku (Liguri) e Shekelesh (Siculi), venute a contatto, anche conflittuale con l’Egitto dei faraoni Ramses II, Meremptah e Ramesse III”. Inoltre affermavo: “Per inciso, come l’isola atlantidea la Sardegna è una regione decisamente occidentale rispetto ad Atene e all’Egitto, ha una grande e ferace pianura ricca di metalli, possiede splendidi edifici di pietre policrome e opere di ingegneria idraulica”.
Dunque ventilavo l’ipotesi, per la prima volta, che l’isola di Atlantide potesse essere la Sardegna. Però, l’identificazione della terra atlantidea con la Sardegna non è così semplice come parrebbe e, non a caso, la sua dimensione storico-geografica (pari all’Asia e all’Africa (mediterranea) messe insieme, non collima con quella della sola isola di Sardegna. E infatti, implicitamente, per giustificare la straordinaria grandezza dell’isola di Atlantide, facevo riferimento all’insieme delle terre dei popoli del Nord-Africa e delle genti del Tirreno, in espansione verso l’Est del Mediterraneo.
Platone richiama eventi storici oramai mitizzati, come erano quelli relativi all’epopea eroica tramandata da Omero, accaduti almeno in parte e soprattutto registrati in terra egizia, dato che non erano noti alla tradizione letteraria greca. La loro collocazione cronologica è però piena di ambiguità e appare il prodotto dell’intrecciarsi di racconti su accadimenti susseguitisi a molta distanza di tempo tra loro. Invero, questo intreccio serve a spiegare la fine di due civiltà, quella di Atene (che poi sarebbe risorta) e quella senza ritorno di Atlantide attraverso l’intervento del Dio del mare, quello stesso che punì Ulisse, l’eroe di Itaca che pensa e muore sardonicamente.
Della questione, assai complessa, tratterò nel mio libro dedicato agli Shardana. Per certo, la fine della civiltà nuragica non avvenne a seguito di uno tsunami, così favoloso da far sparire nella stessa giornata oltre che l’isola di Atlante anche l’antica Atene, ma, come detto in precedenza, per eccezionali sconvolgimenti politici.

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